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“28 anni dopo” è diretto da Danny Boyle ed è il terzo film appartenente alla fortunata saga iniziata nel 2002 con “28 giorni dopo” e proseguita nel 2007 con “28 settimane dopo”. Il film sarà il primo di una nuova trilogia, con il sequel dal titolo “28 anni dopo – Parte 2: Il tempio delle ossa” che sarà diretto da Nia DaCosta e la cui uscita nelle sale britanniche e americane è già prevista per il 16 gennaio 2026. Noi abbiamo visto, come al solito, la pellicola per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo, senza spoiler. Sappiate solo che amiamo tantissimo Boyle e che – per fortuna – non siamo rimasti delusi.

LA TRAMA

La corsa verso la cura

Ventotto anni dopo lo scoppio del virus, la Gran Bretagna è completamente isolata dal resto del mondo. I pochi superstiti vivono in comunità fortificate, tra cui quella su Holy Island, dove Jamie (Aaron Taylor-Johnson) e suo figlio Spike (Alfie Williams) cercano di sopravvivere. Jamie porta Spike sulla terraferma per un rito di passaggio: uccidere un infetto e diventare uomo. Ma il ragazzo, dopo aver visto qualcosa di sconvolgente, decide di fuggire con sua madre malata, Isla (Jodie Comer), alla ricerca di una cura. Il loro viaggio li porterà in territori inesplorati, tra nuovi tipi di infetti e sopravvissuti segnati dalla paranoia.

INFO & CAST
Anno 2025
Durata 115 min
Regia Danny Boyle

Cast
Aaron Taylor-Johnson: Jamie
Jodie Comer: Isla
Alfie Williams: Spike
Ralph Fiennes: Dr. Kelson
Jack O’Connell: Sir Jimmy Crystal

LA RECENSIONE

Le nuove "varianti" e una fotografia mozzafiato

Il grande Danny Boyle torna alla regia dopo “Yesterday”, uscito nel 2019, e abbandona il realismo sporco dei primi capitoli per un’estetica più ampia e cinematografica. Questo già era chiaro dal trailer e la prima cosa che ci ha colpito è stata la straordinaria fotografia digitale di Anthony Dod Mantle, assolutamente cruda e ipnotica: paesaggi desolati, città invase dalla natura, e l’oscurità che nasconde i nuovi mostri. Il formato panoramico enfatizza l’immensità della devastazione e l’isolamento dei personaggi. Ma stavolta, non aspettatevi solo gli infetti che correvano furiosamente nei capitoli precedenti. Qui vediamo nuove varianti: gli Alfa, più intelligenti e capaci di creare una propria struttura sociale, e gli Slow-Lows, esseri lenti e deformi, testimoni di un’epidemia che ha mutato nel tempo. Ogni scontro è brutale e teso, con sequenze d’azione memorabili. I protagonisti scelti da Boyle, Jamie (Aaron Taylor-Johnson) e Spike (Alfie Williams) hanno quell’alchimia perfetta che ci tiene incollati alla poltrona per tutti i 115 minuti e che alla fine ci farà anche emozionare, ma non possiamo e non vogliamo dirvi nulla di più per non rovinarci la sorpresa.

Una riflessione sulla paura, sul trauma intergenerazionale e sull’isolamento forzato

Come i suoi predecessori, “28 Anni Dopo” non è solo un film horror. Alex Garland, autore della sceneggiatura, ha costruito una riflessione sulla paura, sul trauma intergenerazionale e sull’isolamento forzato. SI tratta di un film complesso, profondo ed estremamente reale. La quarantena perenne del Regno Unito diventa una metafora della chiusura politica, mentre il viaggio dei protagonisti rispecchia la ricerca disperata di connessione e speranza. Boyle e Garland hanno creato un’opera che rispetta le radici della saga ma osa espandersi oltre. “28 Anni Dopo” è più grande, più filosofico e più terrificante, un sequel che non si accontenta di seguire le regole del passato ma le riscrive. Una visione cruda del mondo post-apocalittico e un viaggio emotivo che lascia il segno.

IN CONCLUSIONE

Rispetto ai film precedenti del 2002 e del 2007 si distingue dai suoi predecessori in diversi modi, sia dal punto di vista narrativo che stilistico. “28 Giorni Dopo” era un film più intimo, focalizzato su un piccolo gruppo di sopravvissuti che cercavano di capire cosa fosse successo dopo l'apocalisse virale. “28 Settimane Dopo” espandeva la scala, mostrando gli sforzi di ricostruzione del Regno Unito sotto il controllo militare americano. “28 Anni Dopo” porta la storia a un livello globale: la Gran Bretagna è ormai un territorio dimenticato, mentre il resto del mondo osserva con cautela. Boyle ha voluto al montaggio quel pazzo di Jon Harris che ha fatto un lavoro da Oscar mentre le musiche di Young Fathers sono semplicemente fenomenali e s’incollano ai momenti cruciali in maniera magistrale. Menzione specialissima per le scenografie di Carson McColl, Gareth Pugh, Mark Tildesley e Naomi Moore e per i costumi di Carson McColl e Gareth Pugh, vedere per credere. Ormai non ci resta che aspettare con ansia il nuovo capitolo che vorremmo vedere già da domani.

Il voto di Cinefily

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