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Specchi sul grande schermo: quando il cinema racconta sé stesso

By Giugno 20, 2025Luglio 1st, 2025No Comments

Che cos’è il metacinema? È il momento in cui il cinema smette di essere solo narrazione e diventa introspezione, autoritratto, dichiarazione d’amore o sfogo amaro. Sono pellicole come “Nuovo Cinema Paradiso”, “The Fabelmans”, “Birdman” o “8½”, grandi capolavori che esplorano come la settima arte racconta sé stessa.

Vi sarà capitato tante volte perché esiste sempre quel momento, nel viaggio di ogni cinefilo, in cui ci si imbatte in un film che sembra parlare direttamente con lo spettatore. Non della realtà là fuori, ma del dietro le quinte, del mestiere, della macchina stessa del cinema. È il momento in cui il cinema smette di essere solo narrazione e diventa introspezione, autoritratto, dichiarazione d’amore o sfogo amaro. È il metacinema: quando il grande schermo si guarda allo specchio. Sono pellicole che parlano di cinema come i grandi capolavori “Nuovo Cinema Paradiso”, “The Fabelmans”, “Birdman” o “8½”, esplorando come la settima arte racconta sé stessa.

Memoria e malinconia: “Nuovo Cinema Paradiso” e “The Fabelmans”

Due storie, due epoche, due continenti, ma lo stesso cuore pulsante. Il capolavoro assoluto “Nuovo Cinema Paradiso”(1988), di Giuseppe Tornatore e il meraviglioso “The Fabelmans”(2022), diretto da Steven Spielberg, raccontano il cinema come esperienza personale e affettiva, come linfa che scorre nei ricordi d’infanzia. In entrambi, l’occhio della cinepresa è commosso, nostalgico e ci tocca nel profondo, facendoci versare più di una lacrima. Il piccolo Totò (Salvatore Cascio), nell’Italia del dopoguerra, cresce tra le pellicole in una sala di paese. Il giovane Sammy (Gabriel LaBelle), alter ego di Spielberg, si perde nel fascino delle immagini in movimento, fino a scoprire che filmare può rivelare verità nascoste. Questi film non parlano “solo” di cinema, ma di formazione, di perdita, di passioni che modellano identità e dimostrano come fare film sia spesso un atto di memoria e guarigione.

L’arte dietro il caos: "8½" e "Birdman"

Se Tornatore e Spielberg raccontano il cinema con tenerezza, Federico Fellini e Alejandro González Iñárritu lo fanno con tormento. “8½”, inarrivabile pilastro surreale del 1963, mette in scena un regista bloccato, svuotato, assediato da fantasmi interiori e pressioni esterne. Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) è la maschera felliniana di ogni autore che cerca un senso mentre il set prende forma attorno a lui. Il film è un sogno a occhi aperti, una riflessione sulla creatività, sulla menzogna e sulla verità artistica. “Birdman”(2014), invece, segue un attore in declino (Michael Keaton) che tenta di riscattarsi portando a teatro un’opera ambiziosa. Girato con l’illusione di un unico piano sequenza, il film è una danza claustrofobica tra palco e retroscena, realtà e delirio. Qui il metacinema diventa anche critica dello showbiz: la fama, l’ego, i social. In entrambi, il cinema è crisi, è identità smarrita, è domanda senza risposta.

Perle nascoste: il metacinema tra ironia e invenzione

Oltre ai titoli più noti, esistono gioielli meno mainstream che giocano con il concetto di cinema nel cinema con stile e invenzione. Ad esempio, “Adaptation”(2002) di Spike Jonze e Charlie Kaufman è una sceneggiatura che diventa film mentre parla del suo autore, in un paradosso narrativo che sfiora il genio. Il bellissimo “Barton Fink – E’ successo a Hollywood”, per la regia dei fratelli Coen, racconta Hollywood dal punto di vista di uno scrittore alle prese con le logiche industriali del sistema. C’è poi “Zombie contro zombie – One Cut of the Dead”, commedia horror giapponese del 2017, scritta, montata e diretta da Shin’ichirō Ueda, che inizia come un B-movie a bassissimo budget, ma a metà si trasforma in un’ode esilarante e commovente alla passione artigianale di chi ama il cinema, anche con mezzi poverissimi. Grandiosa e da recuperare come le altre due.

Perché il cinema ha bisogno di raccontarsi?

Vi siete mai chiesta perché il cinema ha bisogno di raccontarsi? Forse perché ogni linguaggio maturo, prima o poi, sente il bisogno di interrogarsi. Il cinema, nato come intrattenimento e poi divenuto arte, vuole anche capire sé stesso. Vuole mostrare cosa accade dietro la magia, smontare il trucco, svelare il regista dietro il sipario. Ma, secondo noi, forse c’è anche un desiderio di eternità: i film che parlano di cinema sono, spesso, lettere d’amore al mezzo stesso. Un modo per dirgli grazie, o per dirgli addio. D’altronde, come disse Jean-Luc Godard, “Il cinema sopravvivrà a tutto, anche a sé stesso.”

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