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George Miller presenta fuori concorso alla 75esima edizione del Festival de Cannes una fiaba epica e romantica sul potere della narrazione. Protagonisti di questa esplorazione fantastica? Niente di meno che la coppia Tilda Swinton e Idris Elba! La pellicola è la trasposizione cinematografica del racconto Il genio nell’occhio d’usignolo (The Djinn in the Nightingale’s Eye) scritta da Antonia Susan Byatt.

LA TRAMA

Un film che attraversa le profondità del Mar Mediterraneo, il bazar di Istanbul, palazzi sontuosi e 3 millenni di storia

La dottoressa Alithea Binnie è un’accademica, felice della vita e figlia della ragione. Mentre si trova a Istanbul per partecipare a una conferenza, incontra un Djinn che le offre tre desideri in cambio della sua libertà. Inizialmente la Professoressa dubita che quanto sta accadendo sia davvero reale ma col passare del tempo i propri dubbi verranno attenuati. Alithea inoltre è un’esperta studiosa di storie e mitologia, conosce a memoria tutti i racconti ammonitori di desideri andati male, per questo è così diffidente. Il Djinn tuttavia, con charme e carisma, perora la sua causa raccontandole storie fantastiche del suo passato lungo 3000 anni. Alla fine è lei stessa ad esser sedotta come le precedenti “padrone del Djinn” ed esprime un desiderio del tutto inaspettato.

Recensione di Three Thousand Years Of Longing
Info
Anno 2022
Durata 108 min
Regia George Miller

 

Cast

Idris Elba: il Genio
Tilda Swinton: Alithea Binnie
Kaan Guldur: Murad IV
Aamito Lagum: regina di Sheba

LA RECENSIONE

La narrazione per spiegare le emozioni umane

Il cuore pulsante di “Three Thousand Years Of Longing” risiede nell’importanza e nel valore della narrazione, soprattutto oggi. Si tratta di come, nonostante non troviamo più la necessità di spiegare i misteri dell’universo attraverso le favole, usiamo ancora la narrazione per cercare di spiegare e dare un senso alle nostre emozioni e desideri. Nel suo profondo non c’è una vera lezione morale da imparare con le storie raccontate dal Djinn. Non c’è nessun ammonimento morale sull’avidità o sulla lussuria. Le sue storie sono semplicemente racconti sui piccoli errori che commettiamo come esseri umani e che si intensificano al di fuori del nostro controllo. In altre parole: queste sono storie sull’essere umani. Il primo racconto del Djinn ci riporta ai tempi di Shiva; il secondo riguarda una cittadina comune che desidera sposare un principe; e il terzo è dedicato ad un vero e proprio genio della tecnica.

Elba nel complesso convince nel ruolo del Djinn: il suo desiderio è genuino, quasi pieno di sentimento. La Swinton è perfetta per la parte: una donna sveglia e intelligente fuori dal comune. Insieme i due hanno la chimica ideale per affrontare una conversazione di più di un’ora chiusi in una stanza d’albergo. Sarei riuscito ad ascoltarli per ore!

IN CONCLUSIONE

L'heritage di Fury Road è innato in Miller che adatta il testo di Byatt non senza esagerare in colpi di iper creatività in alcuni momenti della pellicola. Ci sono molte scene che definirei "carnose" come la sequenza che riguarda un principe con il feticcio per i corpi obesi. Ci sono poi alcune parti davvero spaventose che sembrano suggerire un antagonista intrigante, ma è un percorso che Miller lascia inesplorato. Ci sono battaglie e inseguimenti che si perdono un po' nella polverosa foschia della CGI. E alla fine c'è persino una parte su tematiche razziale, per gentile concessione delle care vicine londinesi di casa di Alithea. Ma a colpire tra tutti ci sono alcuni momenti di pura bellezza estetica. Il film è tutt'altro che perfetto, ma prova cose nuove, osa e ci crede. Chapeau George Miller!

Il voto di Cinefily

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