Black Phone 2 è il nuovo horror soprannaturale diretto da Scott Derrickson, sequel del successo del 2022, The Black Phone (che noi abbiamo amato tantissimo). Prodotto da Blumhouse Productions e distribuito in Italia da Universal Pictures. Tra incubi e realtà, Black Phone 2 approfondisce le conseguenze psicologiche del trauma e il potere oscuro della vendetta, in un racconto teso e inquietante. Noi l’abbiamo visto e vi raccontiamo cosa ne pensiamo, come sempre, senza spoiler.
LA TRAMA
L’incubo non finisce mai
Sono passati quattro anni da quando Finney (Mason Thames), allora tredicenne, riuscì a fuggire dal sadico rapitore noto come Il Rapace (Ethan Hawke), uccidendolo. Ma il male non muore mai. Ora diciassettenne, Finney cerca di ricostruire la propria vita, mentre sua sorella Gwen (Madeleine McGraw), dotata di poteri medianici, inizia a ricevere nuove visioni e telefonate nei sogni dal misterioso telefono nero. I messaggi provengono da tre ragazzi perseguitati in un campo invernale chiamato Alpine Lake, dove Gwen convince Finney a recarsi durante una tempesta di neve. Lì, scoprono un legame inquietante tra Il Rapace e la loro famiglia, e si trovano costretti ad affrontare un assassino che, nella morte, è diventato più potente e più personale di quanto avessero mai immaginato.
INFO & CAST
Durata 114 min
Regia Scott Derrickson
Cast
Ethan Hawke: Il Rapace
Mason Thames: Finney Blake
Madeleine McGraw: Gwen Blake
Jeremy Davies: Terrence Blake
Miguel Mora: Ernesto Arellano
LA RECENSIONE
Il ghiaccio come metafora del trauma
In questo secondo capitolo, Derrickson abbandona i sobborghi opprimenti del primo per immergerci in un paesaggio innevato e isolato, dove il freddo diventa metafora del trauma e della distanza emotiva. Il campo invernale di Alpin Lake, teatro delle prime sequenze, introduce un tono onirico e inquietante: una telefonata dal passato, proveniente dagli anni ‘50, destabilizza i protagonisti e lo spettatore. Ethan Hawke riprende il ruolo del Rapace, ma con una variazione significativa: non più solo carnefice, ma figura quasi mitologica, simile a Freddy Krueger, capace di invadere i sogni e manipolare la realtà. La sua presenza è meno fisica e più simbolica, un demone che si insinua nei ricordi e nelle paure dei protagonisti. La sua maschera, ora più elaborata, riflette la trasformazione da serial killer a entità sovrannaturale. Finn (Mason Thames) e Gwen Blake (Madeleine McGraw), sopravvissuti al primo film, affrontano le cicatrici dell’infanzia in modo più maturo e complesso. Gwen, in particolare, emerge come guerriera del sogno, combattendo il Rapace in una dimensione onirica che è la vera chicca della pellicola.
Tra citazioni e innovazione
Il film esplora il concetto di memoria come arma, ovvero, ricordare diventa un atto di resistenza e i dialoghi si basano molto su questo aspetto. Derrickson, che è anche autore della sceneggiatura con C. Robert Cargill, non si limita a replicare la formula del primo film. Lo script prende una direzione nuova, introducendo elementi di ghost story e thriller psicologico. La telefonata dal passato è il fulcro narrativo che collega presente e passato, realtà e sogno. Il regista dimostra ancora una volta la sua padronanza del genere horror, evitando jump scare gratuiti e puntando su una tensione costruita con eleganza. Le citazioni e gli omaggi a Nightmare, Shining e persino Aliens sono evidenti, ma non invadenti e dimostrano, ancora una volta, il grande talento e l’immensa esperienza di Derrickson. La regia è più ambiziosa, con sequenze oniriche veramente ben fatte e il montaggio alterna momenti di quiete e introspezione a scene più frenetiche, creando un flusso narrativo che riflette il conflitto interiore dei protagonisti.
Un horror magnetico e di cui avevamo bisogno
Il film gioca con flashback e visioni, con un effetto immersivo che contribuisce a mantenere alta la tensione. Pur non introducendo grandi innovazioni, Black Phone 2 approfondisce i temi del trauma e della memoria collettiva, arricchendo la narrazione con una componente sovrannaturale ancora più marcata. Il ritorno del “Rapace” non è solo un pretesto narrativo, ma un’occasione per esplorare nuove sfumature del terrore, con un tono più cupo e riflessivo. In definitiva, si tratta di un horror che colpisce nel segno, capace di far vibrare ancora una volta quel telefono maledetto che, a quanto pare, ha ancora molto da dire. Vedere per credere.
Il voto di Cinefily