Skip to main content

Diretto da Michael Chaves, questo film rappresenta il decimo capitolo dell’universo di The Conjuring e viene presentato come il gran finale della saga principale. Basato su un caso reale, quello dell’infestazione della famiglia Smurl, il film promette di essere il più oscuro e personale della serie. Una pellicola che chiude con forza e sentimento una saga che ha ridefinito l’horror moderno. Noi di Cinefily lo abbiamo visto per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo.

LA TRAMA

L'atto finale

Cinque anni dopo il processo ad Arne Johnson, Ed (Patrick Wilson) e Lorraine Warren (Vera Farmiga) hanno abbandonato l’attività investigativa per dedicarsi alla vita accademica. Ma quando il lavoro scarseggia, decidono di affrontare un ultimo caso: quello di Jack e Janet Smurl, una coppia tormentata da una presenza demoniaca nella loro casa in Pennsylvania. L’indagine si rivela presto più pericolosa del previsto. L’entità che infesta la casa sembra avere legami con il passato dei Warren, risalendo ai primi anni della loro carriera. Mentre la loro figlia Judy (Mia Tomlinson) e il suo fidanzato Tony (Ben Hardy) si uniscono alla battaglia, la famiglia si ritrova coinvolta in un confronto finale con il male più antico e potente mai affrontato

 

INFO & CAST
Anno 2025
Durata 135 min
Regia Michael Chaves

Cast
Vera Farmiga: Lorraine Warren
Patrick Wilson: Ed Warren
Mia Tomlinson: Judy Warren
Ben Hardy: Tony Spera
Elliott Cowan: Jack Smurl

LA RECENSIONE

Troppo prevedibile

La struttura del film si articola su due binari: da un lato la famiglia Smurl, terrorizzata da fenomeni paranormali, dall’altro Judy Warren, ormai adulta e prossima al matrimonio, che scopre di avere una connessione personale con il caso. Purtroppo, questa doppia narrazione, sebbene ambiziosa, fatica a trovare un equilibrio. Il ritmo ne risente, con una tensione che si affievolisce a causa di una durata eccessiva (135 minuti) e di “spaventi” troppo prevedibili. L’ingresso dei Warren nella vicenda arriva tardi, e l’attesa non viene ripagata da una svolta narrativa incisiva. Tuttavia, gli sceneggiatori Ian Goldberg, Richard Naing e David Leslie Johnson-McGoldrick fanno un ottimo lavoro ponendo al centro della narrazione il tema del confronto con l’eredità. Non si tratta solo di quella spirituale e professionale dei Warren, ma anche quella familiare. Judy si trova divisa tra il ruolo di figlia e quello di futura erede del sapere occulto. Il suo arco narrativo, però, oscilla tra momenti di vulnerabilità e azioni forzate, più funzionali alla trama che alla crescita del personaggio. Ed e Lorraine, pur rimanendo il cuore emotivo della saga, sembrano relegati a osservatori, mentre la loro eredità viene dichiarata più che vissuta.

 

Regia e atmosfera: un terrore scolastico

Michael Chaves, già regista di altri capitoli del franchise, firma una regia funzionale ma priva di guizzi. La grammatica visiva del terrore è ormai codificata: ambienti bui, torce che illuminano coni di visione, apparizioni improvvise. Solo una sequenza si distingue: il camerino nuziale che si trasforma in un labirinto di specchi, dove identità e riflessi si confondono. Per il resto, dominano corridoi, soffitte e scale, con quest’ultime che nel finale assumono un valore quasi simbolico, metafora di un’ascesa faticosa verso una conclusione inevitabile.

Ed e Lorraine, un cuore che batte ancora

Patrick Wilson riesce a infondere umanità al suo Ed, un uomo che crede non perché vede, ma perché sceglie di credere. La sua testardaggine affettuosa lo rende ancora una figura centrale. Vera Farmiga, invece, è penalizzata da una scrittura che le concede poco spazio: Lorraine rimane il magnete emotivo, ma spesso è costretta a reagire più che agire. La loro alchimia, però, continua a essere il motore della saga, un canto d’amore contro il male che qui si ripete con voce meno fresca, ma ancora sincera. Il regista li immerge in scenografie cupe e inquietanti (bellissime, opera di John Frankish) e con musiche perfette (di Benjamin Wallfisch). Il comparto tecnico fa sempre un ottimo lavoro e, anche in questo, caso, il montaggio di Gregory Plotkin e Elliot Greenberg è fondamentale, così come la fotografia di Eli Born, semplicemente da premiare.

In definitiva, The Conjuring – Il rito finale è un film che guarda indietro più che avanti. La “stanza degli artefatti”, dove si conservano gli oggetti maledetti, diventa il simbolo di una saga che si alimenta di sé stessa. Il film non chiude solo una storia, ma celebra un percorso, con tutti i suoi alti e bassi. Non è il capitolo più spaventoso, né il più innovativo, ma è forse il più consapevole: un epilogo che riflette sul tempo, sulla fede e sull’eredità, lasciando aperta la porta a nuove interpretazioni, ma con la sensazione che il vero rito finale sia già stato compiuto.

Il voto di Cinefily

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!