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Eddington è il thriller esistenziale diretto da Ari Aster, regista visionario noto per Hereditary e Midsommar. Prodotto da A24 e distribuito in Italia da I Wonder Pictures. Ambientato in una cittadina americana isolata e surreale, Eddington è un viaggio disturbante nella mente collettiva di una comunità, tra paranoia, culto e disintegrazione dell’identità. Come al solito, noi l’abbiamo visto per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo.

LA TRAMA

Il western contemporaneo in New Mexico

Nel maggio del 2020, in piena pandemia da COVID-19, durante le proteste per la morte di George Floyd e la campagna elettorale per le presidenziali USA, la cittadina immaginaria di Eddington, nel Nuovo Messico, diventa epicentro di una crisi nazionale. Tutto ha inizio quando una disputa tra lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix) e il sindaco Ted García (Pedro Pascal) diventa virale, scatenando tensioni che dividono profondamente la comunità. La storia si sviluppa come un western contemporaneo, intriso di elementi noir, thriller e commedia nera. Il conflitto tra autorità locali si intreccia con le vite di altri personaggi eccentrici e tormentati, tra cui Louise Cross (Emma Stone), moglie dello sceriffo, e Vernon Jefferson Peak (Austin Butler), figura enigmatica che incarna il caos e la paranoia del momento.

INFO & CAST
Anno 2025
Durata 145 min
Regia Ari Aster

Cast
Joaquin Phoenix: Joe Cross
Pedro Pascal: Ted Garcia
Austin Butler: Vernon Jefferson Peak
Emma Stone: Louise Cross
Luke Grimes: Guy Toolie

LA RECENSIONE

Ari Aster cambia tutto

Diciamolo subito, con Eddington Ari Aster abbandona totalmente l’horror psicologico per esplorare un genere ibrido: un western contemporaneo pieno di satira politica e tensione sociale. E’ ovvio che il cast sia uno dei punti di forza del film. Joaquin Phoenix incarna con intensità lo sceriffo Joe Cross, un uomo diviso tra dovere e ambizione, mentre l’onnipresente Pedro Pascal interpreta il sindaco uscente Ted Harlan, ambiguo e manipolatore. Emma Stone è sorprendente nel ruolo di una giornalista locale che cerca di smascherare le menzogne del potere, e Austin Butler dà vita a un giovane veterano paranoico, simbolo della disillusione post-pandemica. Ogni personaggio è scolpito con cura, e le dinamiche tra loro sono tese, stratificate, spesso anche disturbanti, ma che vi faranno passare 145 minuti senza perdere mai l’attenzione.

Paranoie, identità e molta disinformazione

Il regista è bravissimo nel costruire un microcosmo che riflette le condizioni dell’America del 2020: la paura del virus, la polarizzazione politica, la crisi della fiducia nelle istituzioni. Il film non offre risposte, ma moltiplica le domande all’infinito. Il complottismo dilaga, le mascherine diventano simboli ideologici, e la comunità si frantuma. Il western diventa così un pretesto per raccontare la fine del senso di comunità (con molti echi di Altman e Peckinpah), ma filtrati attraverso lo sguardo inquieto e ironico di Aster. Le sue lunghe inquadrature fisse, montaggi sincopati, uso espressivo del paesaggio desertico sono la sua cifra stilistica ormai e noi le amiamo infinitamente. Anche il New Mexico diventa un personaggio a sé, desolato e bellissimo, mentre la fotografia alterna toni caldi e freddi per riflettere lo stato emotivo dei protagonisti. La colonna sonora, firmata da Bobby Krlic, amplifica il senso di inquietudine con droni elettronici e accenti folk distorti.

Una narrazione volutamente disorientante

Aster è anche autore della sceneggiatura e la sua narrazione è frammentata, volutamente disorientante. Il regista gioca con il tempo, alternando flashback e visioni. Il ritmo è lento ma ipnotico, e il film richiede attenzione e pazienza. Non mancano momenti di humour nero, dialoghi surreali e improvvisi scoppi di violenza che convergono, però, in un finale, enigmatico e aperto, lasciando lo spettatore con un senso di vertigine.
In conclusione, Eddington è un esperimento politico, una riflessione sul potere, sulla paura e sulla verità. Ari Aster dimostra di saper reinventarsi, mantenendo, però, la sua firma autoriale, e questo è importantissimo. Il film è divisivo, ma necessario. Non cerca di piacere, ma di disturbare, di far pensare, di mettere in discussione. E ci riesce alla grande.

Il voto di Cinefily

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