A Big Bold Beautiful Journey – Un Viaggio Straordinario è diretto da Kogonada, regista noto per la sua sensibilità visiva e la capacità di trasformare il quotidiano in poesia. La pellicola, distribuita in Italia da Eagle Pictures. Con una narrazione che fonde il road movie alla riflessione esistenziale, il film esplora il senso del destino, la tecnologia come guida interiore e la bellezza dei legami umani, in un viaggio che è tanto fisico quanto spirituale. Noi l'abbiamo visto per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo.
LA TRAMA
Due destini legati da un GPS
David (Colin Farrell) è in viaggio verso un matrimonio, a bordo della sua vecchia auto dotata di GPS. Ma il percorso suggerito dal dispositivo si rivela tutt’altro che lineare: lo conduce attraverso paesaggi surreali e deviazioni misteriose. Lungo la strada incontra Sarah (Margot Robbie), una donna enigmatica che decide di accompagnarlo. Insieme, seguono le indicazioni del GPS, che sembra conoscere più di quanto dovrebbe. Il viaggio si trasforma in un’esperienza trasformativa, fatta di incontri inattesi, dialoghi profondi e silenzi carichi di significato. Tra scelte da compiere e ricordi da affrontare, David e Sarah scoprono che il vero itinerario è quello che li porta a confrontarsi con sé stessi e con le proprie emozioni. Il film alterna momenti di quiete contemplativa a svolte narrative sorprendenti, in un crescendo emotivo che culmina in una decisione che cambierà le loro vite.
INFO & CAST
Durata 109 min
Regia Kogonada
Cast
Colin Farrell: David
Margot Robbie: Sarah
Kevin Kline: Il meccanico
Jennifer Grant: Madre di David
Chloe East: Cheryl
LA RECENSIONE
Un viaggio tra le pieghe del tempo
Kogonada, regista che ha diretti i bellissimi Columbus e After Yang, con A Big Bold Beautiful Journey – Un Viaggio Straordinario porta sul grande schermo l’idea di un road movie esistenziale, punteggiato da incursioni nel tempo e nella memoria, che strizza l’occhio al cinema di Charlie Kaufman e Michel Gondry, ma con un tono più levigato e meno disturbante. Il viaggio diventa una mappa emotiva, un confronto con lutti, rimpianti e amori falliti, ma la struttura narrativa, pur ambiziosa, non riesce a mantenere la tensione emotiva promessa.
Colin Farrell e Margot Robbie sono due attori di grande carisma, e la loro presenza scenica è indiscutibile. Tuttavia, i personaggi che interpretano – David, il solitario malinconico, e Sarah, la donna affascinante e ferita – sembrano più archetipi da commedia romantica che individui complessi. Le loro interazioni, pur eleganti, mancano di autentica chimica. Le confessioni e le fragilità condivise non scavano mai davvero sotto la superficie, lasciando lo spettatore con l’impressione di osservare piuttosto che vivere il loro dolore. Lo sceneggiatore Seth Reiss, probabilmente, voleva creare un altro tipo di empatia, ma il risultato non convince pienamente.
Tra poesia visiva e manierismo
Kogonada è noto per la sua attenzione maniacale alla composizione visiva, e anche qui non delude: colori saturi, simmetrie perfette, atmosfere sospese. Ogni scena è una cartolina, ogni inquadratura un quadro, grazie anche al lavoro magistrale alla fotografia fatto da Benjamon Loeb e dagli effetti speciali di Jeremy Hays. Ma questa bellezza formale finisce per soffocare la narrazione. Le porte disseminate lungo il percorso, simbolo dell’apertura verso l’altro e verso sé stessi, diventano una metafora insistita e didascalica. La colonna sonora composta da Joe Hisaishi contiene brani come Let My Love Open the Door e sottolinea con troppa enfasi ciò che lo spettatore ha già intuito.
Il passato come specchio dell’amore
Il fulcro tematico del film è la relazione tra passato e presente, tra memoria e possibilità. Kogonada tenta di esplorare come le esperienze vissute plasmino la nostra capacità di amare e di essere amati. Nella seconda parte del film, però, questo si perde. Le scene che dovrebbero essere catartiche si risolvono in tableaux emotivi, dove il dolore è osservato ma mai affrontato. Il film sembra suggerire che bastino due attori bellissimi e qualche dialogo aforistico per costruire un racconto universale, ma il risultato è una narrazione che appare presuntuosa e poco sincera.
Il GPS magico e le porte dimensionali sono l’elemento fantastico che dovrebbe dare slancio alla trama. In pratica, queste incursioni si rivelano episodiche e prive di vera tensione. I protagonisti non affrontano ma osservano i loro traumi come diapositive. Il viaggio, che dovrebbe essere trasformativo, si riduce a una sequenza di set costruiti con grazia ma privi di anima. Kogonada, che in Columbus e After Yang aveva saputo bilanciare forma e sostanza, qui si lascia sedurre dall’estetica a scapito dell’emozione. Il risultato è un film che annuncia emozioni e poesia, ma non riesce a conquistarle.
Il voto di Cinefily



