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Dopo il successo di Barbarian, Zach Cregger torna dietro la macchina da presa con Weapons, un horror ambizioso e stratificato che promette di essere tra i più disturbanti del 2025. Ambientato in una tranquilla cittadina della Florida, il film prende il via con un evento inspiegabile: tutti i bambini di una stessa classe, tranne uno, scompaiono misteriosamente nella notte, esattamente alle 2:17 del mattino. La protagonista, Justine Gandy (interpretata da Julia Garner), è l’insegnante della classe colpita dal dramma, e si ritrova al centro di un mistero che coinvolge l’intera comunità. Tra tensioni familiari, segreti sepolti e paure primordiali, Weapons intreccia storie parallele in stile Magnolia, esplorando le conseguenze psicologiche e sociali di un evento così traumatico. Noi l'abbiamo visto per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo, senza spoiler.

LA TRAMA

Un'intera comunità sconvolta da un mistero angosciante

Il film racconta la storia di una comunità sconvolta dalla misteriosa scomparsa di un’intera classe di bambini durante la notte. Tutti, tranne uno, si alzano dai letti e spariscono nel nulla, lasciando la comunità in preda al panico e alla ricerca di risposte. Il film esplora il dolore, la paura e l’ossessione che nascono da questo evento traumatico, mettendo a nudo le fragilità dell’animo umano.

INFO & CAST
Anno 2025
Durata 128 min
Regia Zach Cregger

Cast
Josh Brolin: Archer Graff
Julia Garner: Justine Gandy
Cary Christopher: Alex Lilly
Alden Ehrenreich: Paul Morgan
Toby Huss: Ed Locke

LA RECENSIONE

Un incubo alle 2:17

E’ proprio la premessa del film, tanto semplice quanto disturbante, a funzionare: diciassette bambini di una stessa classe scompaiono nel cuore della notte, esattamente alle 2:17. Le telecamere di sorveglianza li mostrano mentre escono dalle loro case e corrono con le braccia tese, come a simulare il volo di un aereo. Solo uno di loro, Alex, resta. Il giorno dopo si presenta a scuola, ignaro del fatto che la sua classe è svanita nel nulla. Questo evento inspiegabile è il detonatore di una spirale di paranoia, sospetto e terrore che travolge la cittadina di Maybrook, Pennsylvania.

Fulcro del racconto è Justine Gandy (Julia Garner), la maestra dei bambini scomparsi. È una figura marginale nella comunità, con problemi di alcol e una vita personale frammentata. La sua estraneità sociale la rende il capro espiatorio perfetto. La città, incapace di affrontare il mistero, proietta su di lei la propria rabbia e paura. Le scritte “WITCH” sulla sua auto, le minacce, l’isolamento: tutto contribuisce a costruire un moderno rogo simbolico, dove la femminilità e la diversità diventano bersagli. Cregger, anche sceneggiatore della pellicola, non si limita a raccontare un horror, ma riflette sulla dinamica del trauma e sulla necessità collettiva di trovare un colpevole.

Una narrazione frantumata e ambiziosa

Weapons non segue una struttura narrativa convenzionale. Il film è, infatti, diviso in segmenti che cambiano punto di vista ogni venti minuti circa, creando un mosaico di prospettive che si ricompone solo nel finale. Questa scelta, se da un lato disorienta lo spettatore, dall’altro permette a Cregger di esplorare il mistero da angolazioni diverse, mantenendo alta la tensione. Il montaggio di Joe Murphy e la colonna sonora inquietante dei fratelli Holladay contribuiscono a costruire un’atmosfera perturbante, dove ogni scena sembra nascondere qualcosa di più profondo. Nonostante la sua cupezza, però, Weapons sorprende con momenti grotteschi. Cregger, che ha iniziato la sua carriera nella commedia, inserisce scene che spezzano la tensione con umorismo perverso. Il risultato è un horror che non si prende troppo sul serio, ma che proprio per questo riesce a essere ancora più inquietante. Il resto del cast, da Josh Brolin a Benedict Wong, offre interpretazioni intense e sfaccettate, contribuendo a rendere credibile un mondo che si sgretola sotto il peso dell’inspiegabile (e preferiamo, ovviamente, non spoilerarvi nulla in merito).

I riferimenti celebri e il finale controverso

La pellicola è ricca di citazioni e riferimenti a pellicole cult dello stesso genere. Uno dei più evidenti è a Shining di Stanley Kubrick, tratto dal romanzo di Stephen King. L’orario della sparizione dei bambini – le 2:17 – richiama la famigerata stanza 217 del romanzo originale (che nel film fu cambiata in 237). Questo numero diventa simbolo dell’assenza e della maledizione. Cregger lo usa come chiave temporale e metafisica, suggerendo che il male si manifesta in momenti precisi, come se il tempo stesso fosse contaminato.
Il personaggio di Gladys, zia del piccolo Alex, invece è costruito con tratti lynchiani: parrucca, trucco marcato, comportamento ambiguo. La sua presenza evoca il senso di inquietudine che Lynch ha reso celebre in Twin Peaks e Mulholland Drive. Non è solo una figura disturbante, ma sembra provenire da un’altra dimensione narrativa. I jumpscare onirici che la coinvolgono sono chiaramente ispirati al cinema di Lynch, dove il terrore nasce dalla distorsione del reale.
Inoltre, lo stesso Cregger ha dichiarato che Weapons è il suo Magnolia, il capolavoro di Paul Thomas Anderson. La struttura a mosaico, con segmenti narrativi che seguono personaggi diversi e si intrecciano nel finale, è un omaggio diretto. Come in Magnolia, anche qui il film esplora il dolore collettivo, la colpa e la redenzione attraverso una narrazione frammentata e ambiziosa.
L’intera ambientazione – una cittadina americana sconvolta da un evento inspiegabile – è innegabilmente un tributo alla narrativa di Stephen King. La middle-class, la scuola, i genitori in lutto, la maestra accusata: tutto richiama romanzi come It, Carrie, The Mist. Cregger non si limita a citare King, ma ne adotta la filosofia narrativa: il male non è solo soprannaturale, ma sociale, radicato nella comunità.
Per concludere, noi abbiamo trovato il finale della pellicola un pò controverso. Alcuni spettatori lo troveranno illuminante, altri lo giudicheranno confuso. La verità che emerge non è definitiva, ma suggerisce più che spiegare. È una scelta coraggiosa, che lascia spazio alla riflessione. Il regista non vuole chiudere il cerchio, ma aprire consapevolmente nuove domande. Cosa sono le vere “armi” del titolo? Forse non pistole o coltelli, ma il dolore, la paura, la colpa. O forse, come suggerisce il film, è proprio l’essere umano l’arma più letale di tutte?

Il voto di Cinefily

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