Una pallottola spuntata (The Naked Gun) è diretto da Akiva Schaffer, che ne ha curato la sceneggiatura insieme a Dan Gregor e Doug Mand. È il sequel di Una pallottola spuntata 33⅓ – L’insulto finale (1994) nonché quarto film della serie Una pallottola spuntata. Il film è interpretato da Liam Neeson nel ruolo del tenente Frank Drebin Jr. e da Pamela Anderson, Paul Walter Hauser, CCH Pounder, Kevin Durand, Cody Rhodes, Liza Koshy, Eddy Yu e Danny Huston. Noi l’abbiamo visto per voi e vi diciamo cosa ne pensiamo, senza spoiler.
LA TRAMA
Frank Drebin è tornato
Il film segue le avventure di Frank Drebin Jr., il figlio del leggendario detective Frank Drebin, famoso nella trilogia originale. In questo nuovo capitolo, Drebin Jr., interpretato da Liam Neeson, eredita il ruolo del padre e si trova a guidare una squadra di polizia in una missione per salvare il mondo. Il film promette di mantenere lo stile comico e demenziale dei precedenti, con gag e situazioni assurde tipiche della serie.
INFO & CAST
Durata 85 min
Regia Akiva Schaffer
Cast
Liam Neeson: Frank Drebin Jr.
Pamela Anderson: Beth Davenport
Paul Walter Hauser: Ed Hocken Jr.
Kevin Durand: Sig Gustafson
Danny Huston: Richard Cane
LA RECENSIONE
Un reboot riuscito a metà
Nel panorama sempre più affollato dei reboot hollywoodiani, il remake di Una pallottola spuntata con Liam Neeson rappresenta un curioso esperimento, una collisione tra la commedia slapstick anni ’80 e l’ironia più sottile del cinema contemporaneo. Il film, che tenta di riportare in auge il surreale detective Frank Drebin, riesce nel difficile compito di omaggiare l’originale interpretato da Leslie Nielsen, pur offrendo una rilettura che cerca – non sempre riuscendoci – di adattarsi alla sensibilità del pubblico odierno. Liam Neeson, noto per i suoi ruoli drammatici e d’azione, è la scelta sorprendente ma calcolata per il protagonista. Il suo Drebin conserva la solennità da agente incorruttibile, ma è calato in un mondo dove il caos regna sovrano. La sua recitazione – volutamente rigida – diventa il perno attorno al quale ruotano gag visive, battute assurde e una sequela di equivoci improbabili. In questo contesto, il suo volto impassibile amplifica l’effetto comico proprio come faceva Nielsen, ma con un approccio diverso, più misurato. Neeson, infatti, non cerca di emulare l’icona del passato, ma si affida al contrasto tra la sua persona cinematografica “seria” e le assurdità che lo circondano. Il risultato è straniante, a tratti brillante, a tratti troppo trattenuto.
Citazioni, omaggi e camei
La regia, affidata a Akiva Schaffer (Hot Rod, Popstar: Never Stop Never Stopping), imprime al film un ritmo veloce, ma non frenetico. Schaffer è abile nel ricreare le atmosfere dell’originale, compresi gli intermezzi improbabili, i riferimenti cinematografici e le scene d’azione surreali. Tuttavia, si percepisce una tensione interna tra il desiderio di replicare il tono demenziale del passato e quello di rendere la narrazione coerente e “accettabile” per il pubblico moderno. Alcune gag sembrano forzate, altre invece colpiscono il bersaglio con intelligenza, e il film si muove in bilico tra nostalgia e aggiornamento. Il cast di contorno contribuisce in maniera sostanziale a ravvivare le dinamiche comiche. Pamela Anderson nei panni di Beth Davenport offre un’ottima spalla, capace di alternare sarcasmo pungente e stupore teatrale. Altre apparizioni, tra cui camei di celebrità in ruoli improbabili, strizzano l’occhio agli spettatori in cerca di easter eggs e riferimenti meta-cinematografici. La sceneggiatura, scritta da Dan Gregor e Doug Mand, riesce a conservare l’essenza anarchica della saga originale, pur operando qualche adattamento sui temi e sul linguaggio. Il politically incorrect che definiva l’umorismo della trilogia di Zucker è qui più contenuto, ma non assente. Alcuni momenti si prendono il rischio di sfiorare l’assurdo senza rete di protezione, e proprio lì il film sembra trovare il suo respiro più autentico. Le citazioni al cinema noir, ai polizieschi anni ’70 e alla TV moderna sono disseminate con finezza, regalando ai cinefili un livello di lettura aggiuntivo.
Un mix di commedia demenziali e cinema d'azione
Visivamente, il film si presenta con una fotografia pulita ma funzionale, priva di vezzi stilistici eccessivi (bravo Brandon Trost). La scelta di mantenere una palette cromatica neutra consente di concentrarsi sull’azione e sulla comicità, senza distrazioni. Le sequenze più elaborate – su tutte una rocambolesca indagine in una spa di lusso – mostrano una cura quasi parodistica per l’estetica del thriller, e divertono proprio per il loro esagerato senso di serietà fuori luogo. In definitiva, questo remake/reboot non è solo un’operazione nostalgica, ma un tentativo di fondere due generi che raramente si incontrano: la commedia demenziale e il cinema d’azione contemporaneo. Non è perfetto, né vuole esserlo. Ma trova una sua identità nel gioco di specchi tra passato e presente, tra serietà e idiozia. E quando ci riesce, l’effetto è liberatorio. Una pallottola... rispuntata, ma con stile.
Il voto di Cinefily



